Quando si attraversano le porte di Casa Vidas, la struttura aperta nel 2006 a Milano dall’associazione che porta lo stesso nome, si rimane stupiti: se si pensa alla missione di Vidas, ovvero assistere i malati terminali nell’ultima fase della loro vita, ci si immagina un luogo in cui la morte gioca un ruolo fondamentale, uno spazio in cui si respira lutto e prostrazione, anche perché nel nostro Paese la morte è spesso un tabù, un rimosso che viene confinato il più possibile in spazi chiusi, destinati ad assorbire tutto il “non detto” e il “non vissuto” dell’esperienza del fine vita.
Invece, Casa Vidas è un luogo pieno di vita, in cui si respirano storie di ieri e di oggi unite in due parole: cura e dignità.
Siamo in zona Bonola, nel nord ovest di Milano, un’area periferica della città che con la sua architettura fatta di grandi condomini, viali ampi e freddi e un imponente centro commerciale nel mezzo sembra essere una sintesi dell’idea un po’ stereotipata della solitudine che si vive nelle grandi città, soprattutto quando il proprio ruolo diventa più marginale. La presenza di Casa Vidas proprio qui sembra in qualche modo un tentativo di restituire anche a un’area come questa una dimensione comunitaria che sembra smarrita.
A casa
In effetti, la definizione di comunità, o di famiglia allargata, è la più adatta per descrivere quello che si incontra entrando dentro la “Casa”, come la chiamava Giovanna Cavazzoni, la fondatrice di Vidas, scomparsa nella primavera del 2016 proprio dentro questo moderno hospice. In questi anni, il centro è diventato un luogo fondamentale nell’attività quotidiana dell’associazione, che lavora dal 1982 con lo scopo dichiarato di “difendere il diritto del malato a vivere anche gli ultimi momenti di vita con dignità, garantendo cure sempre gratuite”. «Abbiamo scelto questo nome – racconta il segretario generale di Vidas, Giorgio Trojsi, quando ci incontra nell’atrio – per richiamare una volta di più la dimensione di famiglia».
«All’inizio – ricorda ancora Trojsi – Vidas era una realtà piccola piccola che è cresciuta sotto la spinta di un bisogno che si rivelava sempre più consistente, quello dell’assistenza ai malati terminali». La storia di questa associazione comincia con un’assistenza di tipo esclusivamente domiciliare, passata dalle 20 persone seguite nel 1982 fino alle 1.600 l’anno di oggi. Eppure, prendendo sempre più coscienza di un mondo complesso come quello della cura, questo non poteva bastare. «C’erano malati – ricorda Trojsi – che nelle loro case non potevano stare, spesso più per ragioni sociali e ambientali che per ragioni cliniche. Quando la casa non può essere quel luogo ideale dei ricordi e degli affetti che tutti i malati preferiscono, allora un posto come Casa Vidas diventa necessario per assistere le persone negli ultimissimi giorni di vita».
Un abbraccio
Appena varcata la soglia, ci si accorge di quanto questi spazi luminosi, con grandi finestre, raccontino una storia differente da quella che ci si aspetta. La forma dell’edificio, con due bracci che partono da un nucleo centrale attraversato dalla luce del sole, ricorda quella di un abbraccio, uno dei temi ricorrenti in un luogo in cui il paziente è prima di tutto una persona.
Le 20 camere destinate alla degenza e le aree pensate per il day hospice sono solo una parte di questo spazio, in cui si vivono momenti di cura, di interazione, di comunità, ma anche di arte: non sono infatti rari i concerti, che rafforzano l’idea di spazi che vengono vissuti insieme dai pazienti, dai professionisti e dai volontari, spina dorsale di un luogo che ha un’anima, riassunta nella figura guida, Giovanna Cavazzoni, che qui dentro nessuno ha dimenticato, neppure chi magari l’ha conosciuta soltanto per poche ore.
A ogni cambio turno gli operatori in servizio si incontrano per raccontare che cosa è successo nelle ore precedenti, in modo da garantire quella continuità nell’assistenza che, in un rapporto che dev’essere il più umano possibile, è fondamentale. Inoltre, ogni settimana si tiene un momento di incontro più ampio, dedicato alle situazioni più complicate, che coinvolge tutte le persone che lavorano nella Casa. Anche questo fa parte di un cammino da portare avanti tutti insieme.
Uno spazio, molte anime
L’anima di Vidas, nella struttura e nelle attività domiciliari, è sicuramente collettiva, ma questo non significa che il singolo si perda. Anzi, è vero il contrario: è il lavoro di ogni persona, di ogni professionista e di ogni volontario, a costruirla ogni giorno. Dall’apertura di Casa Vidas, infatti, sono centinaia le persone che si sono fatte abbracciare tra queste pareti e migliaia quelle che hanno usufruito dell’assistenza. Tutto questo lo si capisce ancora meglio incontrando e conoscendo le mille anime di questo luogo e di questa associazione.
Giorgio Trojsi, segretario generale
Giada Lonati, medico e direttore sociosanitario di Vidas
Fabrizio Calamida, medico palliativista
Per contro, la forza delle relazioni che si costruiscono in uno spazio come questo rappresentano un elemento capace di dare sempre nuova forza. «Il nostro compito è anche individuare quale è il momento più adatto per proporre un cambiamento assistenziale. A volte è una fatica, perché si instaurano delle relazioni a cui si tiene. Quando chi normalmente viene qui in day care viene ricoverato in hospice la relazione continua, ma se vanno in cura domiciliare avviene una separazione che si vive con fatica».
Sonia Ambroset, Psicologa
Lucia Moneta, fisioterapista
In effetti, la fisioterapia intesa in senso tradizionale si occupa di restituire abilità alle persone, mentre qui le persone vanno accompagnate lungo un percorso di perdita continua delle proprie abilità. Eppure «si possono fare tantissime cose: noi ci occupiamo di rendere migliore la qualità di vita del paziente, quindi cerchiamo di fare in modo che il paziente mantenga il proprio movimento fino alla fine della vita».
Lia Biagetti, infermiera
Essere sempre presenti, dare delle risposte, non solo sanitarie ma umane, sempre con l’obiettivo di accogliere le persone nella loro sofferenza e solitudine. Si tratta di un’assistenza che ha una forte caratteristica umana. «I nostri ritmi sono molto bassi, molto più casalinghi, perché non rispondiamo a un’urgenza di guarigione, ma a un bisogno di accudimento».
Alberto Grossi, assistente sociale
Federica Giussani, Coordinatrice volontari domicilio e day hospice e Roberta Brugnoli, responsabile selezione e formazione volontari
Sfide sempre nuove
Dal 2015, Vidas ha aperto le sue porte a una sfida ancora più complicata, quella di prendersi cura anche di bambini e adolescenti. Per farlo, si è creata un’équipe pediatrica attiva nel servizio domiciliare. Ma ancora una volta, il percorso non finisce qui: nel 2019 verrà aperta la Casa Sollievo Bimbi, che nasce proprio dalla necessità di offrire un luogo di sostegno e cura ai pazienti più giovani che non possono essere seguiti a domicilio e che ha ottenuto il supporto dell’Otto per mille della Tavola valdese. «Contiamo di completare i lavori entro la fine del 2018 per aprire nel 2019», spiega Giorgio Trojsi.
Si tratta della prima struttura di questo genere in Lombardia e una delle prime in Italia, nonostante siano oltre 11.000 i bambini che nel nostro Paese sono colpiti da malattie inguaribili.
La nuova struttura offrirà cure e sollievo a bambini e adolescenti, ma cercherà anche di non lasciare da soli i loro familiari, che spesso si trovano ad affrontare una sofferenza silenziosa. Di fronte a questa sfida, Vidas ha deciso di rendere ancora più grande il proprio abbraccio.