Il percorso di chi affronta una grave malattia psichiatrica è molto complesso; è un viaggio nei luoghi più impervi e spaventosi dentro di sé, dal quale si cerca di tornare per approdare a rive sicure, dove un appoggio, un riferimento e un aiuto si possono sempre trovare.
Chi arriva a queste rive ha alle spalle un un percorso faticoso che ha richiesto molte energie, altre ce ne vorranno per rimanere ancorati a terra, ma per riprendere il cammino si ha bisogno di alcune cose: una direzione, una bussola per orientarsi, il necessario per camminare a lungo. Insomma, c’è bisogno di strumenti.
Il viaggio del ritorno ha un archetipo nella letteratura greca: Ulisse, eroe che combatte nella guerra di Troia, intraprende un viaggio che lo porterà in vari luoghi dell’area mediterranea, passerà molti anni in viaggio prima di approdare di nuovo a casa, sulla sua isola, Itaca.
La Fondazione Progetto Itaca promuove programmi gratuiti di informazione, prevenzione, supporto e riabilitazione rivolti a chi soffre di disturbi della salute mentale e alle loro famiglie; comprende 11 sedi in tutta Italia, tra cui, dal 2010, quella di Roma.
Il supporto è dedicato ad adulti che soffrono di una malattia psichiatrica grave ed è totalmente gratuito. L’approdo al centro è un atto volontario, chi ci arriva in qualche modo è pronto a intraprendere un percorso per riappropriarsi della propria autonomia, trovare e valorizzare le proprie peculiarità, sperimentare il lavoro in gruppo e porsi degli obiettivi.
Il tutto organizzato secondo uno schema preciso e ordinato. Le regole sono importanti e, a uno sguardo superficiale, possono sembrare rigide. La realtà è che ce n’è bisogno, servono a riabilitarsi all’interno di un ambiente lavorativo, servono per non perdersi tra le troppe scelte che si potrebbero fare, servono per avere dei riferimenti e raggiungere degli obiettivi.
Dall’esserci si passa allo sperimentare varie attività per trovare quella per cui ci si sente più portati, prendere la responsabilità di portare a termine un compito e dimostrare di poterlo fare tutti i giorni, nonostante la routine. I vari passaggi porteranno all’acquisizione di sempre maggior autonomia, fino a poter assumere l’impegno di essere coinvolti in un ambiente lavorativo fuori dal centro.
Chi entra a far parte del progetto viene definito socio, non a caso si chiama Club Itaca, e fa parte della vita della struttura, insieme ai membri dello staff e i volontari, qualsiasi livello di autonomia abbia raggiunto. I soci al momento sono 72 e Caterina, che recentemente ha raggiunto un traguardo diverso da quello lavorativo, ovvero di tre anni lontana dagli ospedali, è stata la socia numero 1.
Per questo, quando si arriva al centro, ognuno sperimenta aree di lavoro diverse, da quella d’ufficio a impieghi più manuali, come la falegnameria o la cucina, per concentrarsi poi, nell’area per cui si sente più portato.
Oltre all’organizzazione del lavoro giornaliero, ci sono alcuni elementi cardine che direzionano la vita quotidiana al Club Itaca: il rispetto reciproco, l’ordine e l’accoglienza. Che si tratti di un ospite in visita, o un nuovo membro appena arrivato, per i soci e lo staff è importante che si trovi a proprio agio, in un ambiente famigliare. Si entra dalla porta principale e ci si ritrova in spazi dedicati a svolgere lavori di amministrazione ed ufficio, libri, il giornale redatto dai soci (Il sestante), i lavori artistici di chi è passato dal centro appesi alle pareti e musica che accompagna la giornata. La disponibilità a parlare del proprio lavoro è una caratteristica che si trova in tutti i membri del Club; in particolare Omar, ci introduce nei vari spazi della struttura e ci accompagna durante i vari momenti che definiscono la vita lavorativa al Club Itaca.
Il metodo
Chi arriva al Club Itaca deve sapere che non sarà trattato come un malato. L’approccio non è clinico, piuttosto di affiancamento del trattamento medico. La riabilitazione non terapeutica aiuta la persona a riscoprire e rinforzare la parte sana, lasciando la parte patologica ai medici.
Molti di coloro che arrivano al club hanno frequentato, magari per anni, centri diurni, centri clinici o medici e si trova ad avere una percezione di se stesso come malato. Si tratta di una posizione di svantaggio che deve cambiare per avviare un percorso di riabilitazione che riporti al centro la persona e metta in luce la parte sana, e non quella malata. Si tratta di concentrarsi, invece che sulla patogenesi, sulla salutogenesi, secondo un metodo che si potrebbe definire olistico, proprio del modello Club House International, diffuso a livello mondiale e adottato anche qui.
Superare le difficoltà e spezzare lo stigma
Quello che attraverso il lavoro con il disagio mentale si è capito, è che il problema non è soltanto legato alla persona colpita, ma appartiene a tutto quello che lo circonda, in particolare la famiglia.
I legami più stretti sono cruciali per comprendere l’ambiente dove il disagio psichico si è formato, e può avere un ruolo importantissimo nel percorso di guarigione. La famiglia è centrale e ha bisogno di essere supportata, in modo da poter essere una struttura solida che aiuti la persona in difficoltà. Per questo il centro organizza un corso che possa dare una struttura e alcuni strumenti per poter affrontare al meglio la malattia.
I corsi sono organizzati anche per i volontari che scelgono di donare del tempo alla cura degli altri; tra questi una fetta arriva proprio perché ha esperienze problematiche in famiglia e vuole sperimentare l’esperienza di lavorare con il disturbo mentale che, come dicevamo all’inizio, è molto più diffuso di quanto si pensi. Nonostante questo il pregiudizio è ancora molto presente
Dentro, infatti, ci sono persone che imparano a ritrovarsi,ad assumere atteggiamenti positivi e azioni costruttive, che ricostruiscono la fiducia in se e nelle proprie capacità, che attraverso il lavoro che decidono di fare e all’impegno che decidono di perseguire, possono tornare a sognare un futuro. Un futuro semplice ma solido, fatto di relazioni, di famiglia e di un impiego soddisfacente.